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La libertà felice | Il radicalismo liberale di Pannella è l’antidoto all’analfabetismo democratico

Nel frastuono della politica contemporanea, in cui le parole sembrano spesso logore e i principi svuotati di senso, riprendere in mano Una libertà felice – il libro che raccoglie gli ultimi cento giorni di vita e di pensiero di Marco Pannella – è un atto di resistenza e di memoria, ma anche di futuro. La nuova…

Nel frastuono della politica contemporanea, in cui le parole sembrano spesso logore e i principi svuotati di senso, riprendere in mano Una libertà felice – il libro che raccoglie gli ultimi cento giorni di vita e di pensiero di Marco Pannella – è un atto di resistenza e di memoria, ma anche di futuro. La nuova edizione, curata da Matteo Angioli, non è soltanto un’operazione editoriale: è un gesto profondamente politico. Restituisce voce e corpo a un protagonista atipico della storia repubblicana, capace di abitare il conflitto, di praticare la nonviolenza come metodo e di lottare fino allo stremo per i diritti umani, la giustizia e la conoscenza.

Intervistare oggi Matteo Angioli, a quasi dieci anni dalla scomparsa di Marco Pannella, significa riportare l’attenzione su temi ancora urgenti ma troppo spesso dimenticati: la crisi del sistema carcerario, il diritto alla conoscenza, l’idea di un’Europa unita e la difesa delle democrazie dalle derive autoritarie. Ma vuol dire anche tornare a pensare la politica come fatto personale, come intreccio di biografie, amicizie e responsabilità.

Lapresse

Da cosa nasce l’esigenza di ripubblicare oggi questo libro di Marco Pannella? È un’operazione editoriale, politica o entrambe le cose?
Molte delle iniziative e delle battaglie politiche lanciate da Marco Pannella continuano a essere di grande attualità e urgenza. Ne ho avuto riscontro pochi giorni fa quando lo abbiamo presentato in Senato, grazie all’iniziativa della sen. Susanna Campione. In apertura ha ricordato la prima volta che vide Pannella. Era in tv, a un dibattito con Almirante, e ne suscitò subito un forte apprezzamento perché Pannella era l’unico leader politico disposto a duellare in dibattito con il leader dell’MSI Giorgio Almirante. Alla presentazione sono intervenuti anche l’avv. Gian Domenico Caiazza, Barbara Palombelli, Ennio Di Francesco (il poliziotto che arrestò Marco nel 1975 dopo la disobbedienza civile sulla cannabis, al quale successivamente espresse solidarietà), Elisabetta Zamparutti di Nessuno tocchi Caino, e ultimo ma non ultimo il sen. Giulio Terzi, co-fondatore insieme a Pannella e me del Comitato Globale per lo Stato di Diritto poco prima della morte di Marco.

Oggi il Comitato è intitolato proprio alla sua memoria. È stata una presentazione carica di emozioni e di significato politico per i molti temi toccati: dall’aggressione subita dall’Ucraina per mano della Russia di Putin, a quella perpetrata da Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023 con la presa degli ostaggi, tuttora in corso, che ha originato il più sanguinoso dei conflitti dopo settantacinque anni di attacchi che Israele subisce quasi quotidianamente, ormai da ben sette fronti diversi. La sua proposta era di includere Israele nell’UE per tentare di sbloccare politicamente un quadro fermo sulla soluzione due popoli-due Stati, che non lo ha mai convinto. E poi, sul piano interno, c’è la situazione giustizia e la condizione delle carceri, per la quale Marco proponeva un provvedimento di clemenza seguito da una profonda riforma della giustizia italiana.

Pannella è stato spesso definito «profetico», ma anche «incomprensibile» per i suoi contemporanei. Rileggendolo oggi, a distanza di anni, quali aspetti del suo pensiero ritieni siano rimasti più inascoltati?
Profetico perché ha precorso i tempi riuscendo a imporre all’attenzione dei governi temi di rilevanza assoluta. Riuscire a intervenire nell’agenda-setting di un governo non è assolutamente semplice, ma lui aveva questa straordinaria capacità. Ciò detto, gli italiani hanno potuto conoscere solo in minima parte Marco Pannella, e spesso in circostanze assai diverse da quelle in cui siamo abituati a vedere tutti gli altri politici. Soprattutto negli ultimi anni, è apparso infatti nel mezzo di uno sciopero della fame o della sete. La sua quindi era una rappresentazione drammatica, segnata dal digiuno.

Venendo agli aspetti su cui sia rimasto inascoltato, penso alla difesa dei diritti umani e alla promozione della nonviolenza come connotato centrale dell’azione di ogni governo democratico, che va di pari passo col suo rigetto totale del pacifismo. La cultura pacifista in Italia è ben presente e non è una coincidenza se il nostro è uno dei Paesi europei più ricettivi rispetto alla disinformazione russa e non solo. È un tema inquietante e il segnale di una certa mancanza di cultura dello stato di diritto.

Perciò Pannella teneva molto alla netta distinzione tra nonviolenza e pacifismo. La prima è azione a difesa del più debole o dell’aggredito. A livello nazionale si esercita con metodi che vanno dai sit-in, allo sciopero della fame e della sete. Nel contesto internazionale significa anche ricorrere alla violenza se ciò permette la legittima difesa o se permette di interrompere un flagrante crimine di aggressione, come nel caso della Russia contro l’Ucraina.

Il pacifismo è rifiutarsi di prendere parte. I pacifisti, o «pacifinti» come li apostrofava, si limitano a gridare «pace pace pace», prendendo di fatto una posizione di equidistanza tra aggressore e aggredito che si traduce però in una maggior vicinanza con l’aggressore.

Non è un caso che in materia di giustizia internazionale, il contributo maggiore al suo sviluppo sia giunto da Pannella e dal Partito Radicale, che hanno promosso un’intensa serie di iniziative per la creazione di tribunali ad hoc prima (Ruanda ed ex Jugoslavia) e della Corte Penale Internazionale poi spesso indicati come eccessivamente idealisti, oggi è sotto gli occhi di tutti la rilevanza dell’istituzione di un tribunale ad hoc sul crimine di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Ci sono differenze perfino nelle manifestazioni: Pannella, per esempio, non si sarebbe mai sognato di bloccare il Grande raccordo anulare o di imbrattare monumenti.

Qual è la sfida principale nel restituire la complessità del pensiero e dell’azione di Pannella senza ridurlo a un’icona?
È doppia: da un lato il rischio di tralasciare aspetti o fatti rilevanti che contribuiscono a definire il personaggio; dall’altro evitare l’agiografia. Il punto è che non c’era un Marco privato e un Pannella pubblico. Marco era Pannella e viceversa. La sua schiettezza, intransigenza e attenzione per gli altri lo accompagnavano sempre. Inoltre, a volte si pensa che si occupasse di pochissimi temi. È vero che, specie negli ultimi anni, si era focalizzato molto sulla giustizia e sul diritto alla conoscenza. Ma sono molti i temi sociali, economici, ambientali, a cui si è dedicato. Lo dimostra la sfilza di referendum proposti nei decenni, dopo che l’azione parlamentare intrapresa, anche per l’esiguo numero di parlamentari radicali, non aveva fruttato l’esito sperato.

Nel libro si intrecciano parole chiave che oggi suonano tanto familiari quanto svuotate: «diritti umani», «nonviolenza», «giustizia», «Europa». Qual è, secondo te, la parola che più di tutte attraversa il volume e interroga il presente?
Vista la sua negazione in tante parti del mondo e le mille battaglie fatte per una informazione democratica, direi «conoscenza». Però, per attenerci al periodo che tratta il libro, cioè i suoi ultimi cento giorni, ne sceglierei due indissolubilmente legate: amicizia e amore. Ci sono infatti una serie di dialoghi e incontri marcati profondamente dal valore dell’amicizia. E l’ambiente che si è venuto a creare durante la sua quarantena è stato sicuramente caratterizzato da un affetto e un amore profondo che gli ha permesso di vivere la parte finale della sua esistenza con serenità.

Il libro restituisce anche una dimensione esistenziale di Pannella, non solo politica. Quanto è importante oggi ripensare la politica come fatto biografico e non solo ideologico?
È una sorta di diario, per cui non mancano le riflessioni su una vita che volge consapevolmente al termine. Pannella è stato un tenace anticomunista, antifascista e antitotalitario. Un liberale nel senso più classico che ha agito al di sopra dei recinti partitocratici e ideologici. Naturalmente aveva i suoi riferimenti e si è ispirato costantemente a figure di culture politiche diverse: da Benedetto Croce, ai fratelli Rosselli, a Benjamin Disraeli, fino al Dalai Lama, solo per citarne alcuni. Un’irripetibile biografia come la sua può sicuramente ispirare altri. Amava definire il suo portamento, il suo agire, «allegro e grave». Un’azione seria, intransigentemente ragionevole, con obiettivi e metodi ben precisi, condita da un’attitudine alleggerita per quanto possibile dalla capacità di non considerarsi infallibile e di non prendersi mai troppo seriamente.

Viviamo un tempo in cui le democrazie sono sotto pressione, i diritti sembrano reversibili e le disobbedienze civili fanno fatica a trovare legittimità. Cosa ci può insegnare Pannella in questo quadro di crisi democratica?
Bisogna incoraggiare ogni istanza di libertà proveniente da popoli e territori soggiogati da dittatori che si pongono al di sopra della legge. Marco sottolineava molto la differenza tra legge e diritto. La legge non è di per sé garanzia di una legalità giusta. Esisteva una legalità nazista, fascista, comunista che legalizzava ogni sorta di abuso e violenza. Pensiamo all’obbligo di iscrivere i bambini tibetani in scuole dove viene insegnata loro solo la lingua e cultura cinese; oppure le leggi sulla sicurezza a Hong Kong che hanno portato alla chiusura di importanti quotidiani. Leggi ingiuste che compromettono l’esercizio dei diritti e della libertà. Il diritto invece è la realizzazione e l’attuazione di regole condivise al di sopra delle quali non vi è nessuno, in linea con le norme nazionali e internazionali sul rispetto dei diritti umani.

Marco credeva nell’universalità dei diritti umani e che ogni persona ha il diritto storicamente acquisito a vivere in democrazia. Non si tratta di esportare un bel niente ma di agire affinché dittatori come Putin non si rafforzino negli anni anche grazie al business che è andato sviluppandosi con Mosca nonostante i gravi crimini di cui Putin si rendeva responsabile: dall’eliminazione delle voci scomode in Russia, come Anna Politkovkaja e Boris Nemtsov, ai nostri Antonio Russo e Andrea Tamburi, alle aggressioni compiute in Cecenia, Georgia, Crimea, Ucraina. Ma io penso che Marco ci abbia anche insegnato a distinguere tra chi protesta per disperazione e chi con speranza.

Illuminante è il caso dei repubblicani irlandesi che si mobilitarono attorno a Bobby Sands per portare avanti uno sciopero della fame ad oltranza, fino alla morte. L’obiettivo era scaraventare il proprio cadavere contro il governo di Londra. Nessun dialogo, solo un disperato atto violento che non ha contribuito all’avanzamento della pace tra Belfast e Londra. Ancora una volta è una questione di metodo. Non credeva che i fini giustificano i mezzi, bensì i mezzi prefigurano i fini.

Il rapporto tra Pannella e l’Europa era profondamente politico ma anche culturale e antropologico. Che idea d’Europa emerge da queste pagine? È ancora praticabile o è un orizzonte utopico?
Un’Europa unita politicamente su alcuni precisi domini, a cominciare dalla politica di difesa e di sicurezza, dunque un’Europa federale in grado di contare nello scacchiere internazionale. Per Pannella non era un’utopia. Già negli anni Ottanta, Marco propose non solo un approfondimento dell’Unione ma anche il suo allargamento per includere addirittura la Jugoslavia. Prevedeva la folle degenerazione di Milosevic che, dopo la morte di Tito, portò alla disintegrazione violenta del Paese e alle guerre in Croazia, Bosnia e Kosovo. Aggiungo che nel giorno del suo ultimo compleanno, il 2 maggio, disse al Tg5 che era venuto ad intervistarlo: «storicamente, abbiamo già vinto». Lasciava intendere che le battaglie che aveva condotto, comprese quelle che non aveva potuto terminare, indicavano la strada da percorrere. Ed era felice di averle percorse a modo suo con le tante persone diverse verso le quali esprimeva una emozionante riconoscenza.

Il libro esce in un momento di grande trasformazione per le forze progressiste in Europa. Pensi che possa servire anche da bussola per una nuova generazione politica?
Sì. Marco Pannella merita certamente di essere studiato. Spero che possa essere una bussola per le prossime generazioni, sia progressiste che conservatrici. Non essendo mai stato particolarmente attaccato a ideologie particolari e ancor meno ai recinti dei partiti, il suo esser liberale e radicale lo portava a dialogare con tutti e a percorrere tratti di strada comuni su precisi obiettivi. È il metodo che cerchiamo di portare avanti anche con il Comitato Globale per lo Stato di Diritto Marco Pannella, in particolare sul tema del diritto alla conoscenza.

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