Eludere, proteggere, prosperare | Come i Matvienko continuano a operare in Italia, nonostante le sanzioni

Nel cuore delle Marche, in una villa con vista sull’Adriatico, si nasconde un pezzo d’élite russa che l’Europa ha formalmente sanzionato ma che, nei fatti, continua a prosperare indisturbata. È il rifugio della famiglia Matvienko, dinastia politica e finanziaria del potere russo che da anni si muove sotto traccia tra Mosca, Roma e le giurisdizioni grigie d’Europa. Il sistema funziona, perché è fatto per aggirare le sanzioni, usare società schermate, fondazioni di comodo e prestanome ben radicati sul territorio. E l’Italia – in particolare la provincia di Pesaro e Urbino – è uno degli snodi principali.
Valentina Matvienko, presidente del Consiglio della Federazione Russa, è sanzionata dagli Stati Uniti fin dal 2014, per il suo ruolo nell’invasione della Crimea, e dall’Unione europea dal 2022, per aver sostenuto pubblicamente l’aggressione all’Ucraina. Ma la sua rete patrimoniale è rimasta intatta. In parte perché, formalmente, non possiede nulla. E in parte perché il figlio, Sergey Matvienko, funge da prestanome strategico del Cremlino sul suolo europeo.
A Pesaro, la famiglia dispone di Villa M. residenza di lusso acquistata direttamente da Valentina Matvienko nel 2009, poi intestata formalmente alla Fondazione Dominanta, una struttura giuridica italiana che – come documentato da Marco Fattorini su Linkiesta – non ha alcuna attività culturale, sociale o pubblica. Nessuna attività culturale documentata, nessuna donazione, nessun bilancio accessibile. La Fondazione Dominanta appare come un’entità formalmente attiva ma priva di operatività concreta, utilizzata esclusivamente per detenere e amministrare l’immobile. Un modello giuridico che, di fatto, garantisce la protezione del bene senza attirare attenzione e senza alcun intervento da parte delle autorità italiane.

Sergey Matvienko risulta oggi titolare di una partita Iva italiana, formalmente attiva nel settore della comunicazione e dell’Ict ma che secondo fonti documentali in nostro possesso è meramente simbolica. Nessuna attività registrata, nessun dipendente, nessuna commessa attiva. La partita Iva serve solo a coprire una presenza operativa utile per mantenere diritti di soggiorno, conti bancari e accesso a servizi locali. Dietro l’apparenza, Sergey svolge il ruolo di interfaccia fiduciaria per asset e investimenti schermati del Cremlino in Italia.
Intanto, la provincia di Pesaro e Urbino continua a registrare un numero anomalo di presenze russe rispetto alla media nazionale: imprenditori, professionisti, società satellite che operano nel commercio, nell’edilizia, nella consulenza. Una rete silenziosa, ma estesa, che trova protezione in cariche come quella di console onorario della Federazione Russa ad Ancona, oggi ricoperta dall’avvocato Marco Ginesi, erede della rete costruita dal padre Armando Ginesi, scomparso nel 2022, colui che ha suggerito l’acquisto della villa ai Matvienko e che ha facilitato l’ingresso del giovane Sergey nei circuiti locali.
Ma il vero nodo strategico del patrimonio Matvienko non è in Italia. È a San Marino. Poco prima dell’attivazione delle sanzioni europee, Sergey Matvienko ha trasferito parte significativa degli asset familiari sul Monte Titano. Secondo fonti bancarie e documentazione in nostro possesso, alcuni fondi, investimenti assicurativi e conti correnti sono stati ricollocati presso istituti sammarinesi, sfruttando la lentezza dell’aggiornamento normativo locale e la tradizionale opacità bancaria della Repubblica. San Marino è diventato così il nuovo caveau del tesoro Matvienko in Europa, mentre l’Italia resta il punto d’appoggio residenziale e logistico.
Nel 1994, quando la madre era ambasciatrice a Malta, Sergey fu arrestato in Russia per furto e lesioni. Tentò, insieme a un complice, di recuperare un prestito di ottantamila rubli con un’irruzione in casa di un conoscente. Finì in un istituto penale minorile e gli venne ritirato il passaporto. Negli anni successivi, il suo nome ricompare più volte nei registri di polizia di San Pietroburgo. Per allontanarlo dal degrado e per proteggerlo da pezzi della criminalità russa, Valentina lo mandò all’estero, rendendolo un terminale operativo per gli interessi familiari e, per alcune fonti, anche per quelli di Stato.
Nel 2013, Sergey Matvienko effettuò personalmente una donazione per il restauro della casa natale di San Francesco ad Assisi, su iniziativa dell’allora console onorario Armando Ginesi. L’intervento venne formalizzato a suo nome, senza l’intermediazione della Fondazione Dominanta. Fu un atto pubblico, ben visibile, utile a ripulire la sua immagine e a stabilire una prima forma di legittimazione culturale sul territorio italiano. Da allora, la presenza patrimoniale si è consolidata, ma nessuna altra attività filantropica è mai stata registrata.
Oggi, Sergey soggiorna stabilmente a Pesaro insieme alla moglie Julia Matvienko, imprenditrice e stilista del marchio di lusso JM, in una proprietà mai colpita da misure restrittive. Intorno a lui, un intero dispositivo legale e consolare costruito per mantenere operativa una rete economica formalmente legale ma strutturalmente concepita per proteggere capitali di provenienza oligarchica.
Il caso Matvienko riporta l’attenzione sull’effettiva efficacia delle sanzioni internazionali: strumenti oggi largamente elusi da un’élite che si è strutturata in modo da rendere la tracciabilità dei capitali una missione quasi impossibile. Non basta congelare beni visibili: serve disarticolare le architetture patrimoniali ibride, spesso dissimulate da fondazioni, veicoli fiduciari e partnership internazionali. In questa fase del conflitto, continuare a tollerare la protezione sostanziale degli oligarchi nei sistemi europei vuol dire vanificare ogni sforzo di pressione geopolitica.


