Provaci ancora Gergiev | I concerti sfumati a Caserta e Salerno, e la rabbia di Mosca

Vincenzo De Luca e Valery Gergiev potrebbero firmare insieme una nuova opera: “L’incompiuta di Caserta”. E sarebbe, senza dubbio, un successo. Ma la trama assomiglierebbe più a una spy story che a una partitura classica: un intreccio tra Palazzo Santa Lucia e il Cremlino, tra diplomazia parallela e ostinazione provinciale, che ruota attorno a un concerto ma racconta molto di più.
Come Linkiesta ha documentato, al centro di tutto c’è la determinazione del presidente della Regione Campania nel non cedere a quel fronte – ampio, trasversale e vigile – che ha lottato per impedire un evento simbolicamente e politicamente pericoloso: il ritorno di Gergiev in Italia, a sancire una nuova normalizzazione culturale tra Roma e Mosca.
Solo i cialtroni – e i collusi col regime – possono continuare a ignorare il trucco post-sovietico: mascherare con l’arte una strategia di influenza, trasformare i teatri in ambasciate senza bandiera. Solo chi crede che questa guerra sia uno spartito che non ci riguarda poteva pensare che fosse “solo un concerto”.

L’ostinazione di De Luca e del suo cerchio magico lirico – composto da Alessandro Ariosi e dal sottosegretario di Fratelli d’Italia Gianmarco Mazzi – si è spinta fino all’ultimo tentativo: far suonare Gergiev a Salerno. Il racconto, confermato a Linkiesta da fonti dirette, è lineare. Quattro musicisti dell’Orchestra di San Pietroburgo, già arrivati in città, avevano provato per due giorni in vista di un’esibizione al Teatro Verdi. Era tutto pronto. Mettevano a punto i dettagli, in attesa dell’annuncio a sorpresa. Un teatro vuoto, usato come metafora. E magari De Luca in platea, a godersi l’ultimo atto da signore di tutte le Campanie.
Sabato sera, arriva la conferma della convocazione: «Esibizione confermata. Abito nero». Ma domenica mattina, intorno alle 9, arriva un altro sms: «Esibizione cancellata».
Un dettaglio che conferma tutto il resto: anche senza comunicati ufficiali o manifesti, quel concerto era previsto. Era stato pianificato, sostenuto e preparato in gran segreto. L’ultima carta che Ariosi e Mazzi volevano giocare per ricucire il rapporto con Gergiev. Un tentativo fallito, che ora rischia di provocare anche un esodo di artisti dalla scuderia Ariosi, secondo quanto si apprende da fonti del mondo della lirica.
Ma questa partita non si gioca solo sul palcoscenico. È una partita multilivello. Ieri, De Luca è tornato ad attaccare il ministro Giuli accusandolo di “inerzia” nella vicenda del Teatro San Carlo e della nomina dei nuovi vertici. Come Linkiesta aveva anticipato, è quella la vera posta in gioco, il cuore del braccio di ferro istituzionale.
Secondo quanto risulta al nostro giornale, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi ha trovato un’intesa con il ministro della Cultura Alessandro Giuli: sei mesi di commissariamento per il Teatro San Carlo. Una finestra utile per nominare una nuova direzione, condivisa con Roberto Fico. Un’intesa che suona come un avviso di sfratto al presidente della Regione e al suo hard power culturale.
Dietro questa battaglia per le nomine si muovono interessi che vanno ben oltre la Campania. E il Cremlino lo sa. Proprio da Mosca, in queste ore, è arrivata una reazione durissima. Il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha commentato la cancellazione del concerto di Gergiev alla Reggia di Caserta con parole infuocate: «Anche l’Italia, che è sempre stata la culla della cultura, si è trovata sotto l’influenza dei neonazisti, soprattutto quelli ucraini». Una dichiarazione violentissima, rilanciata dalla Tass e riportata anche dall’Ansa, che rivela quanto Mosca consideri l’Italia non solo un territorio da riconquistare, ma un campo simbolico in cui misurare la tenuta della democrazia europea.
Non è la prima volta. Già la vicenda della Reggia – come abbiamo scritto – ha mostrato quanto i gangli del potere culturale italiano siano vulnerabili, e quanto possano diventare prede o pedine. L’operazione Gergiev, passata da Caserta a Salerno in modo occulto e tutt’altro che neutrale, è il segno di una strategia costante, non episodica. Il fronte è ancora aperto.


